Arrangiare per archi

di Mauro Desideri
E’ prassi comune, nella musica leggera, inserire una piccola o grande orchestra d’archi nell’arrangiamento e nella strumentazione del brano.
Questa ormai consolidata tecnica di arrangiamento non deve essere vista come una contaminazione del genere neoclassico-romantico in un panorama musicale estraneo, né tantomeno come un anacronismo musicale, in quanto la tessitura vocale e strumentale di cotali brani si adatta molto bene, già nella fase primordiale del pensiero compositivo, alla stesura per orchestra d’archi.

Gli elementi che andremo dunque a descrivere traggono la loro forza da un pregresso artistico-culturale, nonché timbrico-esecutivo radicato nel passato classico; il ruolo determinante dell’arrangiatore moderno è quello di pensare questa risorsa all’interno di un genere fresco e nuovo che non prende in prestito dal “vecchio” (termine usato con il massimo rispetto e la massima riverenza) ma che semplicemente sfrutta le potenzialità e le caratteristiche timbriche di una sezione dell’orchestra sinfonica per esaltare le peculiarità lirico-armonico-melodiche e soprattutto emozionali del brano di musica leggera.
La scrittura per orchestra d’archi prevede quindi la sezione dei cordofoni che viene utilizzata, a seconda delle esigenze, a pieno regime con contrabbassi, violoncelli, viole, violini secondi e violini primi (in ordine dal più grave al più acuto). Questo organico può variare a seconda delle necessità riempitive. Quando si scrive un’orchestrazione bisogna sempre tenere presente che il risultato finale sarà la sommatoria di tutte le frequenze e le loro rispettive armoniche e risonanze; è quindi buona norma evitare di “caricare” troppo l’arrangiamento laddove sappiamo che andranno a sommarsi tutti gli strumenti caratteristici ed irrinunciabili del genere in questione (batteria, basso, chitarre acustiche, chitarre elettriche, pianoforte ecc. ma soprattutto la voce).

Fatta salva la pacifica ed armoniosa convivenza tra strumenti cordofoni bisogna, nel pensare all’arrangiamento per orchestra d’archi, esaminare lo spettro armonico globale. Per farla breve, se abbiamo un basso (elettrico o acustico ma non un contrabbasso o un violoncello), che suona note molto gravi utilizzando la quarta corda vuota o addirittura note sulla quinta corda, vorrà dire che il mio brano avrà uno spettro di risposta in frequenze molto “gonfio sulle basse”. Diventa quindi controproducente scrivere una parte di contrabbassi o violoncelli che si muovano in quell’area. Il risultato finale sarà sicuramente molto confuso, poiché le frequenze basse hanno creste d’onda molto larghe che le rendono poco direzionali e difficilmente distinguibili; saranno dunque frequenti fastidiosi battimenti. Bisognerà pertanto cercare una stesura meno grave nel momento in cui si penserà alla scrittura di questi due elementi dell’orchestra d’archi ed eventualmente valutare la possibilità di sacrificarne la parte a beneficio della chiarezza e limpidezza del prodotto finale sull’area in questione.

Le caratteristiche strutturali degli strumenti ad arco ne consentono una grande versatilità sia in termini di parte ritmica che di tessitura; per questo la sezione può venire impiegata come riempimento armonico, come armonizzazione della parte melodica, come inserimento di nuove frasi melodiche d’effetto ed emotivamente significative ma anche come parti di staccato ritmico, enfatizzando maggiormente il groove a discapito del riempimento armonico o del fraseggio melodico in quel determinato punto.

Qualsiasi tipo di scrittura strumentale tuttavia non può prescindere dal pensiero compositivo della parte melodica affidata, nella stragrande maggioranza dei casi, alla voce. Come per il discorso fatto prima sul movimento dei bassi in un arrangiamento orchestrale, anche in questo caso non dobbiamo commettere l’errore di accavallare troppe frequenze vicine o addirittura uguali. Il rischio è quello di camuffare la voce, di coprirla e di rendere poco intellegibili le parole, andando ad ottenere l’effetto esattamente contrario a quello che dovrebbe essere il primordiale pensiero dell’arrangiatore, ovvero quello di enfatizzare il carattere emotivo e compositivo proprio della parte melodica. Nel pensare quindi alla scrittura e alla tessitura degli archi, soprattutto per quanto riguarda le parti dei violini primi e secondi, sarà essenziale costruire il tutto sulla base delle parti vocali, lasciando la parte di spettro armonico libero e dando così respiro alle parti vocali. E’ da sconsigliare caldamente di proseguire all’unisono con la parte melodica, se non in pochi e isolati punti come enfasi della melodia, così come è da evitare l’armonizzazione per quinte parallele dal sapore troppo medioevale.

In conclusione l’uso dell’orchestra d’archi in un arrangiamento moderno va ben oculato sulla base del respiro del brano, in modo da enfatizzare, arricchire e colorare ciò che già è messo in campo, senza cadere nell’errore di voler esagerare per dar prova della propria abilità di scrittura, poiché il pensiero dell’arrangiatore non si deve focalizzare su una sezione ma sul completamento delle parti mancanti viste nel loro disegno di riuscita globale.



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